“Il più grande centromediano mai esistito”, 1 ottobre

Alla libreria Quanto Basta a Grosseto, in piazza della Palma, 1 ottobre alle ore 17 verrà presentato il libro di Sandro De Nobile su Bianciardi e lo sport; presenta il presidente della Fondazione Massimiliano Marcucci.

Il rapporto tra lo sport, e il calcio in particolare, e gli intellettuali ci ha donato storie e pagine memorabili.

Tanto per stare ai centenari, come non ricordare lo zelo di Pier Paolo Pasolini, fondatore della Nazionale dello Spettacolo, e giocatore accanito, grande tifoso del Bologna.

Pasolini definiva il calcio come: «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro».

Persino Leopardi scrisse “A un vincitore nel pallone”, datata 1821, ovviamente un calcio ovviamente non giocato con i piedi (che fu un invenzione inglese più tarda).

Poi Umberto Saba.

All’estero non possiamo dimenticare Eduardo Galeano, uruguaiano, con Splendori e miserie del gioco del calcio. Per Galeano il calcio è arte dell’imprevisto, e «Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia».

Oppure l’argentino Osvaldo Soriano, con le sue storie sul calcio.

Ma ogni letteratura ha avuto i suoi cantori dello sport e del calcio.

Bianciardi scrisse di sport durante tutta la sua vita.

Ultimamente sono stati pubblicati alcune raccolte di scritti di Bianciardi sullo sport, ricordiamo “Il fuorigioco mi sta antipatico” e “Potevo fare il trequartista”.

“Nel 40 ero il più promettente tra i centromediani di serie C. Già mi aveva messo gli occhi addosso la Fiorentina. Ci contava perfino il mio amico Bruno Passalacqua, segretario, laggiù. Avrei giocato con Maglie Valcareggi ma poi ci fu un incidente, mi partì il menisco sinistro. Menisco è parola greca, che vuol dire piccola lente … Ebbene. Non è vero niente …”, scrive.

E di questo Bianciardi Sandro de Nobile traccia un quadro completo.

Lo sport come proiezione di un desiderio mai sopito; lo sport come espressione di quell’io che alcuni studiosi hanno già definito “opaco”; lo sport come utopia ludica da affiancare all’erotismo, in assenza delle fallimentari utopie politiche; lo sport come evasione e svago, da vivere nell’intenso rapporto intergenerazionale padre-figlio; lo sport come scusa, per parlare d’altro.
     Sono, quelli appeni citati, soltanto alcuni degli aspetti dell’intenso rapporto tra Luciano Bianciardi e lo sport, un tema che lo scrittore maremmano attraversa certo con la passione del bambino preso per mano e portato allo stadio dal padre portiere, ma anche con l’occhio professionale di chi con la scrittura sportiva lavora, ad esempio nella fervida redazione de «Il Guerin Sportivo» di Gianni Brera, e di quella stessa scrittura si serve, riversandola nell’opus “maggiore” dei romanzi e dei racconti.
     Percorrendo i mille rivoli del corpus bianciardiano, dov’è difficile distinguere il finzionale dal non finzionale, il letterario dal giornalistico, tenteremo di dare corpo e vita a quel centromediano che lo scrittore non fu mai, ma che nondimeno vive nelle sue splendide pagine di sport.

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