Il 18 febbraio presentazione del fumetto “Bianciardi” al Comix Cafe

Sabato 18 febbraio ore 17.00 presentiamo il graphic novel “Bianciardi” al Comix Café, a Grosseto (piazza San Michele).

La casa editrice Kleiner Flug e la Fondazione Bianciardi hanno confezionato un’opera per i lettori più giovani ma che sarà apprezzata anche dagli adulti.

Bianciardi!

Il libro è stato edito anche grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e Regione Toscana.

L’articolo di Repubblica: https://firenze.repubblica.it/cronaca/2023/01/26/news/un_romanzo_a_fumetti_racconta_la_vita_di_luciano_bianciardi-385203458/


Dalla postfazione di Massimiliano Marcucci e Lucia Matergi

Un romanzo grafico per Luciano Bianciardi

Un graphic novel racconta Bianciardi, un tributo della scrittura della modernità a un grande scrittore moderno, nel senso della sua capacità di introiettare nella propria opera i caratteri più rivoluzionari del suo e del nostro clima culturale.

E’ un’impresa interessante e coraggiosa, anche per il fatto di aggiungersi, con l’obbiettivo di dire qualcosa di nuovo, ai vari racconti di una vita che prima di essere narrata dagli altri, lo è stata dal suo protagonista assoluto, ovvero Luciano Bianciardi, grande cantore essenzialmente di se stesso.

E prima di entrare nel merito del bel libro di Niccolò Testi e Giulio Ferrara ci sembra necessaria una premessa di merito sulle sue ragioni.

Una vita, infatti, si racconta in tanti modi e il racconto cambia in base a chi lo narra. Ci sono narrazioni esterne, quelle di chi conosce i fatti all’incirca ed è rimasto tanto colpito da qualcuno di essi da farne il perno di tutta la storia, magari tradendone la verità ma offrendo testimonianza della sua singolarità. Ci sono racconti che prendono le mosse da una vicinanza toccante con il soggetto narrato, la famiglia, l’amicizia, l’amore, e possono risultare avvincenti per chi legge, che si sente trasportato dalle parole nell’intimo delle situazioni fino quasi a prendere parte al loro svolgimento, addirittura assumendo come propria la visione del narratore e in qualche modo mettendosi nei suoi panni; in quel caso non si tratta di biografia, perché la soggettività di chi racconta a voce o scrive è troppo prepotente per garantire un accesso verosimile al tema assunto.

Accanto alle due prime tipologie, si accampa la biografia scritta da chi, anche partendo da un interesse specifico per un aspetto delimitato di un personaggio, una vicenda straordinaria, un’opera particolarmente riuscita, una prospettiva in cui riconoscersi, riesce ad ampliare il raggio dell’indagine per capire le ragioni di quella particolare felice emersione: è da questo tipo di obbiettivo che nasce una biografia interessante anche per il lettore, istruttiva nel senso migliore del termine, ovvero tale da illuminare la storia, alla luce non solo dell’interesse personale ma anche dei documenti indagati e proposti come materia fondamentale della narrazione.

Finora in nostro discorso si è soffermato sulle intenzioni del narrante, senza mettere in discussione gli strumenti del suo narrare, parole pronunciate a voce o scritte. Ma la gamma delle possibilità di ingigantisce quando passiamo a considerare le varianti legate a diversi codici espressivi, ognuno dei quali è fortemente connotato dal proprio strumento narrativo e in base a questo impone scelte tematiche e prospettive critiche a chi se ne serve.

La storia cambia, come si trasforma la focalizzazione, anche se le intenzioni di chi racconta non divergono in maniera sostanziale, ma esclusivamente in base al campo espressivo in cui ci si aggira.

L’esempio più classico e più collaudato di questa divergenza è offerto dalla trasposizione filmica del romanzo capolavoro di Bianciardi, La vita agra.

Pubblicato nel 1962, già due anni dopo diventa un film di tale successo da far balzare in vetta alle classifiche anche l’opera di partenza. Merito di un soggetto particolarmente esemplare del suo tempo e dell’interpretazione magistrale di Ugo Tognazzi in coppia con una straordinaria Giovanna Ralli; ma questo non basterebbe a motivare la riuscita perfetta di questa operazione a doppio binario e il consenso riscosso anche tra un pubblico di vari livelli culturali, che grazie al film si rivolge anche al libro.

La spiegazione di un fenomeno che potremmo definire di successo di ritorno sta nell’operazione compiuta dal regista Carlo Lizzani che, una volta accolta la proposta fattagli da Tognazzi, che ha intravisto la potenzialità del romanzo, l’affronta con la sicurezza del suo indiscutibile mestiere, trattando la vicenda narrata in una prospettiva orientata secondo la prospettiva del mezzo espressivo che gli è proprio, ovvero il cinema.

Da qui le trasformazioni, i tagli, le manipolazioni spazio-temporali, addirittura la scelta di cambiare il finale, momento sacro del racconto, per seguire una linea di rappresentazione che coinvolga i personaggi fino a farli essere con evidenza figure paradigmatiche di un preciso momento storico che a Lizzani sta a cuore portare sulla scena.

Un tradimento del bel romanzo di Bianciardi? Per niente, meglio dire che la sua manipolazione lo ha trasformato nel film fortunato che non avrebbe potuto essere se ci si fosse irrigiditi sulla sua trasposizione letterale. E il successo dl quel film ha aumentato automaticamente la conoscenza e l’apprezzamento di quel romanzo.

La lunga premessa intende offrirsi a chi legge come viatico per afferrare pienamente le ragioni e il valore del graphic novel di Testi e Ferrara, partendo dall’istanza generale che li determina e che consiste nella volontà di onorare il centenario della nascita di Luciano Bianciardi proiettando nel presente quello che egli è stato e ciò che ha realizzato.

Un’operazione che ha ragione di esistere a patto di non smarrire il senso che la sua opera ha ricavato dall’essere calata in quel determinato momento della storia italiana, politica, sociale e culturale, ma cercando comunque i modi giusti per renderla ancora attiva oggi, affiancando agli strumenti canonici legati al mondo della letteratura, studi, convegni, approfondimenti testuali, altri canali dotati di maggiore fruibilità e capaci di intercettare uno spettro ampio di destinatari.

All’interno della vasta gamma di tali possibilità, il modello del graphic novel presenta caratteristiche di eccellenza, a partire dalle immagini di forte impatto e dalla sintesi audace delle didascalie, fino a includere arditi salti temporali, ricercati per aumentare tensione e suspence, o buchi narrativi consegnati all’immaginazione di chi vede e legge.

Un simile repertorio di trovate, che garantiscono di per se stesse una notevole coerenza al racconto, conferendogli sorprendente compattezza, si articola all’interno di un meccanismo narrativo basato sulla rottura del tradizionale bilanciamento tra parola e immagine, sostituito da una compresenza priva di subalternità.

Se c’è un autore che si presta più di altri ad essere raccontato attraverso un simile trattamento narrativo, questo è proprio Luciano Bianciardi, scrittore esemplare di un’epoca, quella che va dal dopoguerra al boom economico, ma al tempo stesso audacemente individualista, ironico fino al sarcasmo e insieme pervaso da un sentimento tragico dell’esistenza, vitalista e autodistruttivo.

Gli autori di questo avvincente “romanzo grafico” sono riusciti a valorizzare tanti suoi volti, con un rigore e un affondo costante, spiegabile non solo con la loro indubbia abilità e creatività, ma anche con la grande passione verso il personaggio trattato. Attraverso le pagine gli accadimenti si svolgono variando in misura e successione, talvolta con discostamenti significativi, come dilatazioni o riduzioni, rispetto ai dati documentati, obbedendo al ritmo e ai modi tipici del genere assunto e al suo obiettivo: creare da una vita un romanzo.

Tanti volti non sono tutti, infatti alcuni tratti bianciardiani, ben significativi e originali, non vi trovano spazio: si pensi all’intensa attività giornalistica, alla grande passione per il Risorgimento, presupposto fondamentale di romanzi e racconti, all’interesse per il mondo dello sport.

Segno che l’equilibrio di questo genere espressivo non li può contenere, pena lo scadimento del livello comunicativo e dell’efficacia del racconto, reali obiettivi dell’opera.

E proprio quegli obiettivi, che coincidono con la fruibilità del racconto e la sua disponibilità verso le più varie tipologie di destinatari, la Fondazione Luciano Bianciardi riconosce pienamente centrati in questa opera, fortemente voluta e apprezzata dalle prime fasi di gestazione fino al traguardo.

Massimiliano Marcucci, Presidente Fondazione Luciano Bianciardi

Lucia Matergi, Direttrice Fondazione Luciano Bianciardi


Dall’introduzione di Stefano Adami

Disegnare una guerra
Nel periodo 2016-17, con gli amici della Fondazione Luciano Bianciardi, gia’ si ragionava delle possibili iniziative da mettere in campo per celebrare il centenario della nascita del grande scrittore toscano. Pochi anni infatti ci dividevano dall’apertura del centenario. Oltre alle classiche iniziative, basate su incontri, confronti, convegni e giornate di studio, dedicate a tutti gli aspetti dell’opera bianciardiana, mi girava da un po’ in testa l’idea di utilizzare linguaggi diversi, meno tradizionali, per parlare del nostro e dei suoi temi. Questo poteva essere, se vogliamo, in qualche modo, anche un approccio bianciardiano alla figura di Bianciardi. Ne parlai con gli altri membri della Fondazione, che si dissero d’accordo sulla possibilita’ di saggiare i modi di questi diversi linguaggi espressivi. Il primo che mi era venuto in mente era quello che molti giovani e giovanissimi frequentano in modo spontaneo, immediato, intuitivo, naturale, ben prima che si tratti anche di una scelta consapevole: il fumetto. Insomma, vedevo gia’ tra le mie mani una sorta di vita di Bianciardi a fumetti, che si offriva al lettore per una immersione totale. In quelle prime fasi, vedevo proprio nel fumetto il mezzo espressivo d’eccellenza per raccontare alcuni aspetti centrali del percorso di Bianciardi. Come quel suo modo molto personale di interpretare l’esistenza nel secondo dopoguerra italiano e negli anni ’60, gli anni del boom, come una dura battaglia senza quartiere. Non era Bianciardi stesso che aveva definito il nostro dopoguerra una ‘colossale fregatura’? Analizzando e raccontando quegli anni, Bianciardi aveva anticipato temi che poi furono di altri suoi coetanei, come Calvino e, soprattutto, Pasolini. E c’era entrato, Bianciardi, in quella ‘fregatura’ piena di menzogne, come in una battaglia in cui, per molti motivi, era sempre in trincea, sempre in prima linea, senza poter tirare il fiato. Si sentiva, il nostro Luciano, in quella lotta senza quartiere, solo contro il mondo, come scrive. Con solo due cose che lo aiutavano a difendersi. Una era la sua personale mitologia delle lotte risorgimentali; l’altra, il tradurre. Le sue traduzioni, racconta, si frapponevano fra lui e il mondo, per fortuna. Il segno grafico curato del fumetto, la costruzione delle varie tavole, i tagli ed i contrasti di ogni immagine, mi sembravano quindi le forme ed i modi migliori per dare conto di questo chiaroscuro che Bianciardi si e’ sempre portato nel cuore, e che si ritrova in ogni sua riga. In poche parole, quel Bianciardi a fumetti per me era gia’ finito, li’, su un tavolo, pronto per essere sfogliato. Mi misi allora in contatto con Alessio d’Uva, e con il suo bel gruppo di lavoro fiorentino, che ben conoscevo e molto stimavo per gli ambiziosi progetti compiuti nell’incontro fra opera grafica e percorsi letterari, come nel caso delle pubblicazioni, indimenticabili, dedicate a Dante. Alessio accetto’ con entusiasmo. Un Bianciardi a fumetti, infatti, ancora non esisteva, ed avevamo molte possibilita’ ed indicazioni narrative da seguire davanti a noi. Si poteva sperimentare e dar corso anche alla nostra curiosita’. Mi sarebbe piaciuto molto, in quei primi tempi di progettazione del lavoro, poter partecipare alla fase di scrittura dei testi, degli archi narrativi, dei dialoghi. Le fonti principali erano, naturalmente, i romanzi stessi di Bianciardi, e le non molte biografie disponibili, prime fra tutte quella di Pino Corrias, e quella di Alvaro Bertani. Seguendo le pagine stesse di Bianciardi si vede proprio il modo in cui lo scrittore, con sempre maggiore amarezza dopo i fatti di Ribolla, si senta sempre piu’ al centro della guerra che si diceva, e veda il suo stesso trasferimento a Milano come un vero e proprio avanzare su una mappa militare, per ‘mettere la bomba’. Mi segnavo in mente tutti questi passaggi che sarebbero poi tornati utili nella fase di scrittura dei testi. Ma e’ stato detto giustamente che la vita e’ quello che ci accade mentre noi siamo impegnati in altri progetti, ed infatti questo e’ proprio quello che successe a me. Avevo da poco incontrato un’altra volta il gruppo di lavoro di Alessio, infatti, quando mi accadde la piu’ inattesa delle cose, nel primo pomeriggio del 23 maggio 2019. Erano le tre, ero solo a casa mia, stavo scrivendo al computer, quando ebbi un ictus, piuttosto grave. Mi trovarono soltanto la mattina dopo, verso le sette, a terra: fui portato d’urgenza in ospedale. In quel momento comincio’ un’altra dura battaglia per restare in vita, e di quelle prime fasi ho dei ricordi davvero vaghi. Piano piano le immagini cominciarono a chiarirsi: l’ambiente infernale della Rianimazione, i rumori violenti, i parenti e gli amici che venivano a trovarmi, le difficolta’ a capire che cosa mi fosse veramente successo e, soprattutto, che cosa sarebbe dovuto venire dopo, cosa dovevo aspettarmi. In quel momento, ho provato in prima persona la reazione che capita a chiunque si trovi davanti ad una dura diagnosi medica: il primo movimento teso, umanamente, a minimizzare. In questo caso, infatti, il paziente tende a dire a se stesso che l’evento occorsogli non puo’ essere veramente grave, che lui non c’entra, che in breve tempo si alzera’ dal letto e tornera’ tranquillamente alla vita di prima. Anch’io, come tutti, mi trovai dunque a pensare in questo modo. Potevo dimenticarmi del fatto di essere in ospedale, era solo una cosa temporanea. Potevo tornare, invece, a concentrarmi di nuovo, per fortuna, sul Bianciardi a fumetti. In quelle notti brucianti, affollate, confuse, in Rianimazione, quel Bianciardi a fumetti mi si muoveva davanti. Mi era venuto a trovare. Sentivo anche il fruscio delle pagine che scorrevano tra le mie dita. E stavolta non c’era solo Luciano in quella guerra totale per la vita, che parte dalla sua giovinezza, passa per Grosseto e Milano per finire a Rapallo, ma c’ero anch’io. Con il tempo, ripresi, piano piano, a poter rileggere le mie mail e tornare alle varie mie cose. Mi arrivo’, finalmente, la prima stesura dei testi. Che mi aiuto’ molto, insieme ad altre cose, ad uscire dai primi tempi difficili. Quei percorsi narrativi, ora stesi su carta, erano proprio come li avevo visti. In quel periodo, ero ancora tra il letto e la carrozzina, come il N.1 del Gruppo TNT. Non restava che aspettare la parte grafica. Era li che si sarebbe vista ed assaporata davvero tutta l’amarezza che Bianciardi deve aver provato quando si rese conto che quel sogno edenico di un vero miracolo per uomini autentici, quel ‘neocristianesimo disattivistico e copulatorio’, dove si moltiplicano ancora i pani ed i pesci, che descrive in un luogo affascinante e indimenticabile de La vita agra, e’ appunto soltanto un sogno. Un sogno che si dissolve ogni mattina, oltre il quale c’e’ solo una possibilita’, un dovere: quello di aprire il fuoco, di continuare la battaglia. Ed anch’io, infatti, a modo mio, devo quotidianamente portare avanti la battaglia iniziata quel giorno di maggio. Battaglia lungo la quale ho sentito parlare poi di Carlo Perfetti e di un luogo particolare come Villa Miari. Bisogna stringere i denti, avere fede, giorno dopo giorno. Ogni tanto, purtroppo, capita anche di cadere. Sono un po’ come il Visconte dimezzato. Ma che importa, nel frattempo e’ arrivato da Alessio tutto il Bianciardi a fumetti, finalmente. E che bellezza, e’ proprio come lo avevo immaginato allora. Anzi, anche meglio. E questo lo lascio ai lettori da scoprire. Ci sono ancora altre idee che ebbi per parlare in diversi modi di Bianciardi. Come, per esempio, un film ispirato al nostro. E concentrarsi in modo particolare su ‘Aprire il fuoco’, che alla fine resta, credo, la cosa migliore, la piu’ viva, che lo scrittore toscano ci abbia lasciato. Perche’ quella condizione di esilio assoluto, disperato, che Bianciardi vi descrive… Ma queste sono altre storie. Per adesso, buona lettura!

Stefano Adami, scrittore e componente della Fondazione Bianciardi

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