24 giugno – Bianciardi traduttore; incontro con la figlia Luciana – ciclo “Bianciardi in Chelliana”

Come scrisse in una lettera: “io lavoro e per me lavorare significa tradurre”.

Iniziò nel 1955 e l’ultima opera tradotta reca la data del 1971, anno della sua morte: si contano più di 100 opere tradotte, quasi tutte dalla lingua inglese, di vario genere; dai romanzi, ai racconti, ai saggi storici e scientifici, ai manuali tecnici (“tradurre per conoscere”).

Celebri le sue traduzioni dei Tropici di Henry Miller, poi London, Stevenson, Huxley, Conrad, Faulkner, Steinbeck, Crane, Kerouac, Vidal, Bellow, e tanti altri.

Così descrisse la sua principale attività (“Il lavoro del traduttore”, 1961): “un lavoro da artigiano, un lavoro minuto, oscuro e ascientifico, sempre approssimativo”,

e ancora

fatica di un uomo solo, alle prese con un libro straniero davanti ai tasti di una macchina, con una pila di fogli bianchi che faticosamente, uno dopo l’altro, si anneriscono”: quindi “tradurre è oltre tutto una fatica fisica e psicologica, da sterratore”, “lo sterro traduttorio”, lo definì ancora.

Questa fatica divenne poi materia della sua narrazione; celebri le pagine de La vita agra :

Certe notti quando non riesco a prendere sonno, mi sfilano in processione dinanzi agli occhi Salvatore Giuliano e le donne artificialmente feconde, il colonnello Maverick e il generale Sirtori, Virginia Oldoini, Carl Solomon, Nikita Krusciov, Teseo, … “ e via via in una lunghissima enumerazione.

Continua: “Ciascuno di costoro m’ha portato via un pezzo di fegato, e tutti insieme m’hanno dannato l’anima, mi hanno stravolto persino l’infanzia. Quando non riesco a prendere sonno, penso alle mie vacanze, bambino, su a Streetrock, o nei prati attorno a Plaincastle (Casteldelpiano), a St. Flower, ad Archback (Arcidosso), a Chestnutplain (Piancastagnaio)”.

INCONTRO CON LA FIGLIA LUCIANA, ANCHE LEI TRADUTTRICE.

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